REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA:
L'AEREONAUTICA NAZIONALE REPUBBLICANA
INTERVISTA A LUIGI GORRINI
Asso della Caccia della Areonautica Nazionale Repubblicana
Andrea Benzi
Abita ad Alseno, a ridosso della via Emilia, in
piena pianura Padana. Luigi Gorrini, incredibile asso dell'aviazione, uomo
energico e fiero, combattente audace, aderì alla repubblica Sociale
Italiana e difese le case dei nostri padri e dei nostri nonni, uno contro
cento, dalla furia devastatrice e dai bombardamenti terroristici dei cosiddetti
liberatori. In questa intervista, una commovente e toccante carrellata
sull'Italia in guerra, un'Italia che molti buonisti vorrebbero mai esistita
oppure marginale, ma che loro malgrado e stata e sarà
Domanda: Dove si trovava il 10 giugno del 1940?
R. Il 10 giugno 1940, avevamo già avuto sentore
che qualcosa stava succedendo. Io ero di base sull'aeroporto di Mondovì,
dove era distaccato il 18° Gruppo, che era un gruppo del 3°
stormo da caccia che propriamente era a Mirafiori, dove rientrammo per
armare gli aerei quali non erano armati. Da lì la mia squadriglia
andò a Novi Ligure e poi ad Albenga, per essere destinati contro
i Francesi, dove vi era uno dei migliori aeroporti, migliore perché
aveva la pista in cemento, laddove gli altri aeroporti avevano le piste
erbose. Mi trovavo ad Albenga quando Mussolini stava facendo il famoso
discorso vi fu subito un allarme per aerei nemici su Genova.
Domanda: Che aerei avevate?
R. Avevamo i CR 42, una macchina già superata,
strasuperata all'epoca. Biplano di tela, senza corazze, senza apparecchi
radio che funzionassero, con impianti d'ossigeno malfunzionanti. Era un
gran bell'apparecchio in quanto a maneggevolezza, armato da 2 mitragliatrici
da 12,7, mitragliatrici efficaci, ma se pensiamo alle otto da 8,7 di cui
disponevano gli Spit e gli Hurricane...Vi furono alcuni combattimenti:
siamo andati a fare mitragliamento sui loro aeroporti, vicino a Tolone.
Il primo mitragliamento andò male: fu una cosa strana perchè
raggiungemmo l'obiettivo, trovammo tutti i loro aeroplani, li mitragliammo,
ma nessuno poté mettere a rapporto di aver visto incendi. Pensammo
fossero le nostre pallottole difettose e facemmo al ritorno una prova:
sparammo con un aereo in una latta di benzina che invece si incendiò
subito. La nostra ricognizione che accertò che erano sagome: avevamo
sparato su delle sagome e ci avevano fregati. Ma il giorno dopo li fregammo
noi: piombammo su un altro aeroporto a mezzogiorno in punto, due squadriglie
di protezione su e noi giù a fare mitragliamento. Avvenne un combattimento
molto duro e per fortuna si alzarono in vola solo tre o quattro dei loro
Dewoitine 520: ci tirarono giù due dei nostri, i due gregari del
comandante di gruppo, il maggiore Mossilla, già comandante in Spagna
delle squadriglie di mitragliamento a terra della guerra di Spagna (le
famose tre frecce col fascio nero e "ocio che te copo")
Domanda: Quale era l'atmosfera generale , qual era
il morale all'entrata in guerra?
R. Il morale era molto alto. Credevamo inoltre di
averci degli aerei validi, ma quando abbiamo cominciato a vedere cosa aveva
il nemico, in questo caso la Francia, parlo dei Dewotine e dei Morane,
ci dovemmo ricredere. Io poi ho conosciuto quelle macchine in seguito,
quando mi recai in Francia a prendere alcuni loro aeroplani che erano rimasti
al Governo di Vichy (cominciavamo a scarseggiare dei nostri ed avevamo
bisogno di tutto). Era come paragonare un triciclo ad una Ferrari...
D. Come era lo stato della Regia Aeronautica?
R. All'inizio della guerra avevamo due tipi di aeroplani:
il CR 42 della FIAT, biplano, ed il Macchi 200, aeroplano noioso e da naso,
i primi se si stringeva si partiva in rotazione; ma era un buon monoplano,
una macchina che si adattava molto bene. Sapevamo però e ci avevano
detto che erano pronti il 200 ed il 202, sempre della Macchi. La FIAT aveva
ricevuto una cospicua commessa di produrre tanti CR42...penso che abbia
continuato fino alla fine della guerra...i Macchi potevano andare meglio.
D. Ed il Fiat G.50?
R. Il Fiat G.50 era un monoplano, molto da naso,
...ha fatto molte vittime e quando è uscito era già abbondantemente
superato. Una macchina strana, dovei stare molto attento in fase di decollo
e di atterraggio.
Noi pensavamo comunque di vincere la guerra, dopo
invece...Guardi gli unici aerei competitivi che abbiamo avuto sono stati
il Macchi 202 ed in particolare il 205: con questo potevamo tener testa
agli Spitfire, agli Hurricane e persino agli americani con i loro Mustang,
durante la Repubblica [Sociale]. Certo che il Mustang era superiore, perché
a 10000 metri i comandi con il 205 non li sentivi già più.
Forse il migliore di tutti i nostri è stato il Fiat G.55, lì
potevi andare anche a 10000 metri, ma ne produssero davvero pochi.
D. Torniamo al primo impatto con gli aerei francesi.
Che cosa provò?
R. C'è da dire che la Francia era davvero
allo sbando...Ma io ero un pivellino, ero entrato in aeronautica nel 1937
ed arrivai al reparto i primi mesi del 1939. Ero l'ultimo arrivato della
mia squadriglia, quindi inesperto di guerra. Però con me vi erano
piloti che avevano fatto la guerra di Spagna, e fu davvero una fortuna
perché, arrivando al reparto fui affiancato a due anziani su disposizione
del comandante di squadriglia; ogni squadriglia allora aveva la pattuglia
acrobatica e mancava uno a fare il fanalino della pattuglia acrobatica.
Fu così che mi venne assegnato il sergente maggiore Bortolotti Tullio
come istruttore acrobatico e il sergente maggiore Rozzi, oggi generale,
come addestratore bellico, simulavamo in volo la caccia. Io devo a lui,
reduce della Spagna e membro della famosa squadriglia della Cucaracha,
tanti preziosi insegnamenti. Mi ha insegnato tanto.
D. Ma che cosa pensava del nemico che aveva di fronte?
R. I primi combattimenti in Francia...non avevo
il coraggio di sparare. A me, quel signore che mi stava di fronte non aveva
fatto niente; durante la guerra, nonostante tutto, ho sempre cercato di
non sparare sulle cabine, dove stava il pilota, ma cercavo di sparare sempre
sull'aeroplano, alla macchina. Certo dovetti svegliarmi, perché
nessuno scherzava: guardi quelle foto...una cannonata sul 205 che mi sfiorò
la testa, fortuna che vi era una corazza difensiva, fu un colpo di un cannoncino
da 20 mm...Insomma, in Francia, le prime volte avevo l'aeroplano d'avanti
e non mi decidevo a sparare. Un bel momento il comandante, il maggiore
Ussilla, mi affiancò e fece quello che avrei dovuto fare io. Poi
a terra mi riprese: "Che cazzo aspettavi? Se devi fare la guerra in
questo modo, è meglio che tu stia a terra!" Però sparare
addosso ad una persona ...Ma posso dire di aver assistito, da parte dei
Nostri nemici, ad episodi terribili: mitragliamenti di piloti nostri che
abbattuti e che scendevano con il paracadute. Io li buttavo giù,
li seguivo mentre scendevano con il paracadute, li ho persino buttato la
borraccia dell'acqua...erano uomini come me. Comunque per me era una cosa
nuova, mentre gli anziani della Spagna la sapevano già lunga.
D. La guerra va avanti, il conflitto si inasprisce.
Cosa successe dopo la campagna di Francia?
R. Finita la Francia tornammo a Mirafiori e giungevano
strane notizie dall'Africa. Perché, vede, se noi eravamo a terra
sul territorio nazionale, in Africa erano sottoterra: avevano i CR 32,
ancora quelli della Spagna, degli AB 1, dei Breda 64 e 65, facevano un
po' di mitragliamento...Per rafforzare la situazione in Africa, un gruppo
di 50 aeroplani del nostro stormo venne mandato in Libia. Il trasferimento
si svolse senza problemi e potemmo subito rientrare in Italia dove ci consegnarono
nuovi CR 42 prodotti dalla Fiat: nuovi, ma ancora identici ai vecchi, cioè
senza corazze. Tanto è vero che, noi piloti avevamp adottato qualche
piccolo accorgimento: uno era quello di riempire il portabagagli che avevamo
dietro la testa (ci mettevamo gli effetti personali) con un sacchetto di
sabbia che poteva fermare le pallottole. Il maresciallo Sozzi, che mi salvò
la vita sul cielo d'Inghilterra, avevo lo Spit di dietro e non me n'ero
accorto e lui si butto fra me e lo Spit, e ...prese la raffica lui. Una
pallottola gli perforò i polmoni: riuscì ad attraversare,
ferito, la Manica e atterrò di fortuna a Calais...i Tedeschi furono
bravi a recuperarlo subito. Era stato proposto dal generale Fusi, comandante
del corpo di spedizione, per la medaglia d'oro. Quando l'ho ritrovato un
po' di tempo dopo..."E allora?" "Eh belin, belin-rispose
da buon genovese- la medaglia me l'hanno data, ma d'argento...sai ho i
gradi qui (e indicava la spalla dove stanno i gradi dei sottufficiali)".
I sottufficiali erano discriminati nell'assegnazione di medaglie: per loro
ci doveva essere la testimonianza in volo di almeno due persone. Gli ufficiali
invece tornavano, raccontavano e ...venivano creduti sull'onore. Ma io,
che ero sottufficiale, ho tutto a posto: verbali, rapporti, prove concrete,
prigionieri. Ho 24 aeroplani abbattuti individualmente! Senza contare quelli
che ho contribuito ad abbattere con altri e quelli che ho distrutto a terra...Un
ufficiale tornava alla base, affermava di aver abbattuto un aereo ed era
una medaglia d'argento. Io ho abbattuto 19 aeroplani prima dell'8 settembre,
avevo diritto a tre medaglie d'argento che mi hanno commutato in una d'oro.
D. Quindi partecipò anche alla Battaglia
d'Inghilterra?
R. Come le dicevo, tornato dal trasferimento in
Africa, ci consegnarono nuovi aeroplani CR 42: senza corazze, impianti
d'ossigeno malfunzionanti, salvagenti di marina troppo grossi che ci impedivano
i movimenti. Da Torino partimmo ed atterrammo a Monaco dove facemmo rifornimento:
ricordo che nevicava. Di lì ancora fino a Francoforte e poi da lì
fino in Belgio, ad Ursell: una cosa assurda e incredibile, il campo proprio
non si vedeva, anche il comandante era stupito. Un bel momento abbiamo
visto degli alberi, pini, che si muovevano, delle mucche per terra. Era
tutto mimetizzato e così bene che gli Inglesi non sono mai riusciti
a trovare quel campo: c'era perfino una grande fattoria di cartone co porte
e finestre, mucche di gomma gonfiabili e pini che una volta tolti venivano
rimessi al loro posto per coprire i rifugi degli aerei a loro volta coperti
da reti. Eravamo in braghe di tela: pensi che non avevamo riscaldamento
sugli aerei, che peraltro erano aperti. Volavamo anche a trenta gradi sottozero
a terra! Se si doveva partire alle 11 di mattina, i poveri specialisti
si attaccavano alle eliche degli aerei che non riuscivano a far girare:
l'olio era diventato duro. Il mangiare in un primo tempo non era buono,
ma poi arrivò la logistica dell'intero corpo italiano e la musica
cambiò. Fango da tutte le parti. Le operazioni venivano decise dai
tedeschi e a noi spettava la scorta ai nostri bombardieri: era un macello.
Erano venuti un sacco di piloti, figli di papà, a provare l'ebbrezza
della guerra...questo fenomeno si era già visto in Spagna. Ma non
era una guerra dei soldi: era una guerra del piombo e gli Inglesi non scherzavano
affatto, sparavano sul serio. Facevamo la scorta ai bombardieri, ma tenerli
uniti era un'impresa: uno andava giù perché i motori non
ce la facevano. Erano BR 20, macchine anch'esse di tela, idonee a volare
leggere e a partire su terreni secchi ed aridi. Qui invece si era carichi
di bombe e le piste erano fangose, e poi i piloti mancavano d'addestramento.
Le prime due azioni furono un disastro: i Tedeschi ci fermarono e si accorsero
degli aeroplani che ci avevamo...ossigeno che si bloccava, senza radio,
aeroplani di tela e come prima cosa ci diedero le stufe catalitiche per
scaldare i motori e poi, nel giro di 48 ore ci applicarono corazze aggiuntive,
ci hanno dato le loro combinazioni e in più guanti e caschi nuovi
(avevamo ancora il caschetto di tela). Francamente , avevamo solo gli occhi
per piangere, abbiamo fatto la guerra in queste condizioni; non avevamo
neppure le carte, dal momento che già in Italia andavamo avanti
seguendo le carte stradali del Touring Club. Immagini con le nebbie: dopo
un combattimento rientrammo in 25 in quattro nazioni diverse, non si vedeva
nulla se non i campanili. Sono atterrato avendo visto una pista ma
era un'autostrada e prima di me, lo avevano già fatto in quattro:
uno andò a finire in una piazza d'armi ad Amsterdam, Saddini, altri
finirono fra i pini. Due furono abbattuti, o almeno dissero di esser stati
abbattuti, ma poi in seguito si accertò che avevano avuto guasti
tecnici: il povero Salvadori, e Lazzari. Uno aveva l'entrata dell'olio
a 120 ed ebbe paura ad attraversare la Manica, a tornare indietro e tentò
quindi un atterraggio in territorio inglese: nell'atterrare trovò
una buca e l'aereo si mise "sull'attenti" (la foto è negli
archivi inglesi) e venne fatto prigioniero. All'altro impazzì la
bussola. Uno di questi aerei è all'Imperial War Museum, precisamente
l'aeroplano di Salvadori. Giuntella, Rozzin, Lolli, Guglielmetti.
Grillo, Mazza li perdemmo, più altri: ma non Lazzari e Salvadori.
In pieno inverno arrivò quindi l'ordine di rientrare; nel frattempo
erano arrivati anche i Fiat G.50, ma non parteciparono ad alcuna azione:
essi non avevano autonomia, passata la Manica dovevano tornare subito indietro.
Li schierarono quindi come difesa notturna degli aeroporti, in voli notturni
isolati. Guardi la spedizione in Inghilterra fu tutta da dimenticare: bombardamenti
male eseguiti, macchine inidonee. Il combattimento dell'11 novembre fu
però un gran bel combattimento: pensi che ho avuto occasione di
incontrare anni dopo chi vi partecipò dalla parte opposta, a Monaco,
durante un raduno di ex-combattenti di tutte le nazioni belligeranti tranne
i Russi. Io cercavo il francese Klostermann, il quale ha scritto alcuni
libri: il primo molto interessante, ma il secondo pieno dei soliti luoghi
comuni su noi Italiani, salvo poi dopo ammettere che non aveva mai avuto
il piacere di incontrarci in volo. Mi avvicina un signore e mi chiede:
"Tu sei Gorrini?" "Si" rispondo. Questo era Peter Towsend,
l'asso della caccia inglese, il quale parlava perfettamente l'italiano
poiché aveva studiato a Firenze. "Eri tu su quel CR 42 che
mi sparò addosso, colpendomi nel tallone!" "Se sono stato
io, tu allora eri quell'Hurricane che mi sparò ed i proiettili mi
passarono attraverso le gambe" Siamo diventati amici e quando venavi
in Italia lo andavo a prendere all'aeroporto: siccome era un appassionato
di macchine e io conoscevo l'ingegner Ferrari, lo portai a Maranello dove
gli fecero provare un muletto in pista...gli sembrò di toccare il
cielo con un dito!
D. E dopo la battaglia d'Inghilterra?
R. Rientrammo, ma prima fecero togliere le carenature
alle ruote dei CR 42 perché c'era troppo neve. Rientrammo perché
le cose andavano molto male in Africa: c'era la ritirata di Graziani e,
nel giuro di due giorni fummo a Sirte, atterrando con un tempo molto brutto.
Pensi che mai, dico mai, in un trasferimento perdemmo aerei. Da Mirafiori
atterrammo a Pisa, poi a Reggio Calabria, poi a Pantelleria, Zuare(?),
Castelbenito e quindi Sirte, molto vicino al fronte. Vedevamo colonne infinite
di soldati sbandati, scappavano, nessuno li fermava più; incominciammo
subito a levarci in volo e a fare mitragliamenti sulle colonne inglesi,
in particolare nella zona di Agedabia e riuscimmo a contenerli. Mi ricordo
che il maggiore nostro con altri ufficiali e soldati si mise sulla Balbia,
pistola in pugno, a fermare ed inquadrare gli sbandati e noi da Sirte non
facevamo altro che partire e ripartire (tornavamo solo quando avevamo esaurito
le munizioni). Davvero il nostro fu un intervento prezioso, e vi era anche
l'VIII gruppo più altri. Rimanemmo giù alcuni mesi; le condizioni
erano disastrose, mangiavamo gallette e scatolette, la galletta si gonfiava
nello stomaco e ad alta quota provocava dolori e gonfiori...mancava acqua.
pieno di mosche e scorpioni. Alla fine ci rimpatriarono per farci riposare
e lasciammo gli aerei al gruppo di Vizzotto o di Bailo, non mi ricordo.
Rimpatriammo, ci diedero venti giorni di licenza e poi ci portarono a Caselle
dove ci fecero fare qualche giro sul Fiat G. 50 per poi consegnarci il
Macchi 200, il "saetta", monoplano con motore stellare. Di lì
quindi in Grecia ad Araxos il dicembre del 1941, vicino al mare: facevamo
crociere di protezione. Mi ricordo che Argostoli e Cefalonia non potevano
essere sorvolate da nessuno, per ordine del comando: ricordo di aver visto
un aeroplano un giorno, insieme ad un gregario, un aeroplano scuro che
volava verso Argostoli. Lo inseguii e stavo per sparargli quando vidi le
croci tedesche: il mio gregario, un giovane sergente, credette che io lo
avessi mancato e gli sparò: l'aereo era pieno di benzina ed andò
giù. Vi fu un processo e, fortunatamente, il giovane venne assolto
perché l'aeroplano era caduto a terra. Facevamo molte scorte navali,
fino all'Egeo.
Un bel momento ci fecero rientrare: il nostro, il
XVIII, era un gruppo autonomo che poteva essere impiegato ora qui ora là.
L'altro nostro gruppo, il XXIII, era su Malta. Ci mandarono ancora in Africa
Settentrionale, questa volta con i Macchi 200.
D. Il Macchi 200 era già un aereo migliore
rispetto al CR 42?
R. Si' era meglio, ma era ancora arretrato rispetto
ai mezzi degli Inglesi. Aveva ancora la cabina aperta, che poi in Africa
non era forse neppure il male peggiore...Atterrammo vicino a Bengasi, dove
avevo in precedenza, con il CR 42, abbattuto due Blenheim che stavano per
bombardare il porto e poi ne tirai giù un altro. Ne ho visti tanti
sfilarmi e per un semplice motivo: erano più veloci di noi. Se si
era in quota potevamo riuscire a prenderli, altrimenti era impossibile.
Il Blenheim era un bombardiere leggero e veniva affiancato dal Beaufughter,
caccia pesante: due gran belle macchine. Da Bengasi andammo a Ouadi- Tamed
(?) e lì, poiché tiravamo la cinghia a furia di mangiare
in continuazione gallette e scatolette, un giorno mi venne una bella idea:
presi un CR42 e sorvolai l'Ouadi. Vi erano numerose gazzelle che andavano
a bere e si nascondevano fra la vegetazione: al rumore dell'aereo fuggivano
allo scoperto e ne buttai giù tre o quattro. Un camion dietro le
raccolse e vi fu carne per tutti. Un'altra volta eravamo sul golfo di Bomba
e dissi all'armiere: "Oggi mangiamo il pesce, togli le spolette dalle
bombe da 50 Kg" Tolse le spolette e lanciammo le bombe in acqua: vennero
a galla dei dentici di mezzo metro...Dovevamo soprattutto arrangiarci.
Ero riuscito a dotare il reparto anche di automezzi, perché durante
una caccia, meglio una ricognizione per intercettare gruppi di commandos
che di notte attaccavano i nostri aeroporti, vidi in mezzo al deserto un
mucchio di mezzi abbandonati. Al ritorno dissi al comandante di squadriglia,
il capitano Giuntella, e mi feci dare un camion con alcuni specialisti:
non avevamo mezzi. Con un 38 SPA, un fusto di benzina ed un fusto d'acqua,
dopo aver piazzato una mitragliatrice sul cassone, tolta da un aereo scassato.
partimmo. Trovammo i mezzi: non vi erano segni di colpi, non vi erano morti:
tutti mezzi inglesi, più alcuni dell'esercito gollista. Vi erano
persino alcune armi. Eravamo piuttosto eccitati e ricuperammo molta roba:
alcuni funzionavano, altri potevamo trainarli con lo SPA. Stavamo per ripartire
quando sentimmo un colpo di fucile isolato: non sapevamo da dove partiva
quel colpo e rispondemmo al fuoco con la mitragliatrice, sparando in alto.
Vedemmo uscire da dietro un mezzo un uomo lacero, sporco, con la barba
rossa e lunga ed a mani alzate. Era l'armiere di un Blenheim che era stato
colpito durante un bombardamento su Tobruk e che si era lanciato: aveva
girato per il deserto finché non si era imbattuto in quel posto
e lì era rimasto per quasi trenta giorni bevendo l'acqua dei radiatori.
Capimmo inoltre perché quei mezzi erano stati abbandonati: si era
in mezzo ad un campo minato. I miei compagni erano preoccupati, ma piano
piano riuscimmo ad uscire indenni, con i Nostri aeroplani che ci stavano
cercando: siamo rientrati con alcuni camion e pensi, con una Peugeot 405
francese che regalammo al comandante di squadriglia. Io avevo trovato una
Guzzi con motore V targata Torino: quei mezzi ci furono utili dopo, durante
la ritirata di quasi 5000 chilometri quando sfondarono ad El-Alamein.
Eravamo ad Abu agad(?): nel frattempo avevano applicato
ai nostri aerei delle rastrelliere che portavano delle bombe speciali,
le bombe "Mazzolino": bombe potentissime ma in un involucro di
alluminio. Con ordigni dello stesso tipo si diceva che i Tedeschi avessero
espugnato la linea Maginot. Il problema era che se uno rientrava con alcune
di queste bombe ancora attaccate alle rastrelliere, rischiava di saltare
in aria: e così purtroppo fu in un paio di casi. Allora via le rastrelliere
e ci misero due attacchi per le bombe da 50 KG: eravamo costretti quindi
a fare anche i bombardieri, in particolare quando avanzammo fin dopo Marsa-Matruh
dove potemmo ricongiungerci con l'altro nostro gruppo che era già
stato dotato dei nuovi Macchi 202. Il fatto che eravamo costretti anche
a fare da caccia-bombardieri spiega il nostro distintivo: una vespa incazzata
con in mano un pugnale, che significa il caccia intercettore, e con nell'altra
mano un guantone, che significa il caccia-bombardiere.
D. Il Macchi 202 era un aereo decisamente migliore?
R. Sicuramente era un aereo già competitivo:
certo che quando ci gettarono, durante l'offensiva, addosso nugoli di P
40 e di Spitfire, anche questa macchina non poteva fare molto.
D. Lo Spitfire era un osso duro?
R. Lo Spit era un osso molto duro...aveva un mucchio
di mitragliatrici, più due cannoncini da 20 mm ed era inoltre più
veloce. Il 202 gli era decisamente inferiore i velocità ed armamento.
Quindi un bel momento il 4° stormo, che sembrava il migliore stormo
d'Italia, i suoi comandanti sono diventati in seguito Capi di Stato Maggiore,
e che quindi veniva dotato sempre degli apparecchi migliori, quando ha
cominciato ad esserci puzza di bruciato e cioè quando era chiaro
che avrebbero sfondato, sono rimpatriati ed hanno lasciato i loro Macchi
a noi, il XVIII Gruppo, e noi abbiamo dato in nostri 200 a quei poveracci
dell'VIII stormo che avevano ancora i CR 42. Finalmente avevamo un aereoplano
competitivo: era il finimondo, perché ci venivano addosso nuvole
di caccia avversari.
D. Ma quando vi rendeste conto di ciò che
stava succedendo, dello sfondamento ad El-Alamein?
R. Tutto sommato piuttosto tardi, anche se cominciarono
a preoccuparci i sempre più frequenti bombardamenti, diurni e notturni.
E da lontano vedevamo le prime linee che venivano martellate dalla loro
artiglieria. Ma fino a quel momento il nostro campo era stato lasciato
in pace: stavamo ad Abu AGad (?), un po' spostati e l'attendamento nostro
era in riva al mare. Addirittura di notte tenevamo qualche luce accesa,
ma i loro aerei ci passano sopra senza toccarci. Solo che una notte invece...un
loro bombardiere fece due giri e sganciò due bombe dirompenti, per
uccidere il personale e non tanto distruggere gli aerei. Non erano bombe
per scoppiare in profondità: ci fecero fuori un mucchio di piloti:
io quella notte era a letto in tenda, alcuni erano svegli e giocavano a
carte. Luci accese fuori e dentro, e non c'erano rifugi: l'unica
protezione era verso il mare perché avevamo paura degli incursori:
una fila di bidoni vuoti con filo spinato ed una mitragliatrice pesante,
a protezione della tenda. Dormivo sulla brandina, la tenda era chiusa:
non mi ricordo chi la aprì, ma so solo che corsi fuori mezzo nudo.
C'ero io davanti, Sandini e Scocchetti e la bomba cadde in mezzo a noi:
mi gettai nella buca che utilizzavamo come latrina, che era già
piena di gente. Sento urlare, gridare aiuto: ero nudo, perché quel
poco di vestiti mi era stato strappato dall'esplosione. Scocchetti l'ho
trovata che si teneva la pancia con l'intestino che fuoriusciva...Lambertini
era stato ferito mortalmente alla schiena e mi morì vicino; un altro,
che sembrava non avesse niente fu ucciso dallo spostamento d'aria. Abbiamo
perso 12 fra piloti e specialisti: uno si amputò con un coltello
da solo la gamba, povero Leo, mentre lo portavamo in ospedale. Incominciammo
la ritirata: una scena indescrivibile, difficile da credersi cosa successe,
cosa ho visto. Ci spostavamo con gli aerei rimasti, di base in base. o
dove potevamo atterrare: aspettavamo che i Tedeschi ci portassero la benzina
di notte, a volte ce la buttavano senza guardare troppo dove andava a finire:
facevamo rifornimento agli aerei, gli armavamo e aspettavamo che il nemico
si avvicinasse con i carri e quando erano quasi vicino all'aeroporto decollavamo
per andargli incontro. Mitragliamenti e poi indietro verso un altro aeroporto:
abbiamo fatto così 4000 chilometri. Arriviamo infine a Tripoli,
alla Melaca (?) dove c'era un circuito automobilistico su cui correvano
un gran premio: non avevamo da mangiare, non avevamo da bere. Le divise
ed i pantaloni erano tenuti insieme dal filo d'ottone, sporchi. Ci si doveva
spostare a Zuara, ma quattro piloti ricevettero l'ordine di restare
lì con il tenente Speicher e con l'ordine di rotolare una volta
che tutti erano partiti qualche fusto di benzina dentro i magazzini: dentro
c'era l'ira di Dio. Montagne di caffé, di tè, divise, sahariane:
dovevamo versare la benzina e poi sparare dentro per incendiare tutto quanto.
Vi erano montagne di acqua di Ciampino imbottigliata, montagne di vestiti:
ci divertimmo per un po' ad aprire un mucchio di casse, curiosi. Spaccavamo
giù tutto: trovai una cassa piena di macchine fotografiche Leica
e quattro me le misi al collo, ma le persi o distrussi per strada. Sparammo
dentro e incendiammo tutto; poi arrivammo a Sfax e ancora Medelin e a Korba.
Ormai eravamo stretti in Tunisia: mi ricordo che fregai le lenzuola del
maggiore Camarda e feci in tempo a partecipare alla famosa battaglia di
Kasserine (gli Americani le presero di santa ragione dai Tedeschi) e noi
scortavamo i carri Tedeschi, come immortalato da un quadro fatto da un'associazione
americana di assi dell'Aeronautica che dirige due importanti musei. So
che in Arizona, a Mesa, esiste una mia grande fotografia, insieme con una
del Maggiore Visconti; mi hanno invitato più volte in America, ma
non me la sento di andarci. Mi hanno invitato anche a Londra, e neppure
a Monaco: alla fine sono venuti qui da me e mi hanno fatto firmare un mucchio
di quadri che hanno fatto fare da un pittore e che mi ritraggono, in qualità
di esponente della caccia italiana, mentre scorto i Tiger tedeschi in Tunisia.
Quel quadro compare a fianco di quadri raffiguranti le imprese di Klostermann,
il francese, di Adolf Galland, il tedesco, di Towsend per l'Inghilterra:
i più grandi assi dell'aeronautica. Me ne hanno fatti firmare 600
e poi so che gli hanno messi in vendita a più di mezzo milione!
L'ha visto un mio amico che, dopo la guerra, se ne andò per paura
in America: ve ne furono molti dei nostri che andarono in America e fecero
là i piloti commerciali.
D. Arriviamo al 1943: Tunisia, Sicilia, la guerra
prende una brutta piega. Cosa provavate?
R. Io in Sicilia non sono stato impiegato...comunque
la guerra capimmo che era persa con El-Alamein. Vedevamo i mezzi che avevano:
ne tiravamo giù dieci e, il giorno dopo, ci erano addosso il doppio.
Noi invece non riuscivamo più a rimpiazzare le perdite e gli aeroplani
cominciavano a scarseggiare; ripiegavamo e lasciammo gli aeroplani a chi
rimaneva.
D. Nell'estate del 1943, avvengono bombardamenti
massicci sulle città italiane: quasi ogni città viene colpita
ed in particolare le grandi: Napoli, Genova, Torino, Milano ed infine Roma.
Che cosa facevate per difendere?
R. Il III stormo rientrò in Italia, a Milano
ed eravamo dotati di Macchi 202 e di alcuni Messerchmitt che i Tedeschi
ci avevano dato: siccome eravamo un gruppo molto compatto ci schierarono
alla difesa di Roma. Stavamo a Ciampino, ed eravamo comandati da Falconi,
persona molto a posto ma che suscitava odio e invidia fin da quando era
diventato campione mondiale di volo a rovescio; era un uomo che faceva
di testa sua ed ignorava i burocrati del Ministero. Noi eravamo tutti schierati
a CIampino sud, tutto lo stormo, e benché fossimo destinati a difendere
Roma venivamo spesso chiamati a dare man forte a Napoli che era debolmente
difesa da qualche squadriglia autonoma. Il nostro stormo era di sei squadriglie:
più di sessanta aerei. Una notte, i Nostri bombardieri partivano
da Ciampino nord in azioni isolate, i 79, uno ogni cinque minuti. Un Beaufighter
si era accodato ad un S.79 e lo aveva seguiti per vedere da dove partiva:
quando il nostro sparò il razzo di segnalazione per atterrare venne
avvistato anche l'aereo inglese che venne abbattuto dalla contraerea tedesca.
Il comandante Falconi disse: "Se quello ha comunicato via radio da
dove avviene la partenza, domani ci distruggono l'aeroporto." Ormai
piombavano addosso agli obiettivi con minimo duecento quadrimotori, formazioni
imponenti. Falconi non aspettò l'ordine del Ministero, ma all'alba
diede l'ordine a tutti gli apparecchi efficienti di dirigersi a Cerveteri,
a Nord di Roma: partimmo.
D. Quindi a difendere Roma non c'erano che una sessantina
di aerei?
R. Sì, c'eravamo solo noi con in più
qualche aereo della notturna a Centocelle, ma poca roba. C'era Rotondi
che volava con un Lighting che era stato catturato agli Americani e momenti
lo buttavo giù io, sta testa di cavolo...A Cerveteri dovevamo aspettare
l'ordine del Ministero per partire, ma Falconi, non appena giunse voce
che la formazione nemica era su Roma, ci diede l'ordine di partire. Io
avevo il 202, e ci dirigemmo al largo di Ostia: era il giorno del famoso
bombardamento su Roma, il 18 luglio del 1943 e si era sparsa la notizia
che a prender parte all'operazione degli americani vi era il famoso divo
Clark Gable: cercai invano la figura che contraddistingueva il suo aereo.
D. C'è un combattimento in particolare di
cui vuole parlare?
R. Ma...un giorno, appena dopo il bombardamento
su Roma, arriva la notizia che volevano consegnare un nuovo Macchi alla
nostra squadriglia, era un 205. Vi fu un conciliabolo su chi spettasse
guidare la nuova macchina e, grazie al numero di abbattimenti gia' conseguiti,
riuscii a spuntarla. Mi diedero un foglio di viaggio e mi recai al Nord
per ritirare il nuovo apparecchio: quando lo vidi chiedi spiegazione e
informazioni. "Che te devo spiegà?-mi disse il collaudatore
, un romano, - questo è sempre il 202. Una sola cosa: se Ti capita
di sparare, non sparare con tutte le armi contemporaneamente, altrimenti
il rinculo è troppo forte. O spari con i cannoncini da 20 mm, oppure
spari con le mitragliatrici 12 ,7" Ma io non ho mai seguito questo
consiglio ed ho sempre sparato con tutte le armi: se la va, la va...Ma
chiedevo ancora informazioni: "E' il 202, dai vai!..." Appena
su mi accorsi che invece il motore era più potente: arrivo a Cerveteri
e mi viene incontro il maggiore Camarga (?): "Gorrini, tu domani stai
di riposo" Ed io:"Fin che non ho fatto un combattimento con questo,
io monto di allarme tutti i giorni" Quell'aereo è durato 48
ore! Il comandante di squadriglia mi aveva ordinato di partire dopo tutti
gli altri, poichè avevo l'aereo più potente e più
armato e dovevo fare il suo primo gregario di sinistra, mentre gli altri
stavano tutti sull'ala destra. Era il capitano Giuntella, oggi generale.
Partono e parto anch'io per ultimo in mezzo ad un gran polverone; arriviamo
al largo di Ostia e vediamo una grande formazione nemica da bombardamento.
Non sapevamo dove si dirigevano, pensavamo ancora su Roma, ma poi apprendemmo
che l'obiettivo era Sulmona, dove era accantonata la divisione corazzata
tedesca Hermann Goering, nella foresta. Una grande formazione, lì
sotto gli occhi: il comandante mi faceva segno di stare calmo, per radio
non si poteva parlare, ma alla fine il capitano Giuntella, continuamente
incalzato da me, mi diede il via libera. Sono andato su, e andando su attaccai
l'ultimo loro gregario di destra e sparai fra l'attacco dell'ala e la fusoliera:
era un B-17, una "fortezza volante". feci un looping e mi ripresentai
addosso, appena per vedere la sua ala che letteralmente si staccava, con
i due motori che giravano e questa che andava in vite. L'aereo cadde sull'aeroporto
di Nettuno: ero a 7000 metri ma sentii lo spostamento d'aria e vidi due
o tre paracadute lanciarsi e commisi la solita coglionata che fanno tutti
i piloti quando abbattono un aereo avversario, cioè girarsi per
vedere dove cade l'aeroplano. Mi è piombato addosso un loro caccia
della scorta, un Lighting P38: mi son visto i suoi colpi passarmi sopra
la testa, mi aveva mancato di un soffio e poi fece una cosa stupida entrandomi
a tiro. Lo centrai in pieno, tanto che scoppiò: se non mi aggrappo
ai comandi finisco dentro i pezzi dell'esplosione. Vidi che il pilota aveva
fatto in tempo a buttarsi con il paracadute. Mi rigetto all'inseguimento
della formazione, attraversando tutta l'Italia e la intercetto sull'obiettivo:
mi scaglio contro l'ultimo dei B-17. Feci quattro attacchi e dopo un po'
vidi ben 9 paracadute che scendevano: ma l'aereo seguitava nella sua corsa,
normale. Lo riaffrontai e, forse fu una delle poche volte che lo feci,
sparai in cabina: non c'era più nessuno ed avevano installato il
pilota automatico. L'aereo cominciò a perdere quota e, ancora una
volta, lo inseguii per vedere dove cadeva: mi arrivarono addosso 12 Lighting,
6 da una parte, 6 dall'altra. Tengo imbarcato l'aeroplano e, avendo sparato
raffiche molto forte e continue, le armi si erano scaldate: mi scoppiò
il cannoncino di sinistra, perforandomi l'ala. Mentre stavo cercando di
fuggire, avevo una paura incredibile, verso i 3000 metri, mi saltò
il tettuccio che volando via mi ruppe l'antenna e mi danneggiò i
timoni di coda. In quelle condizioni, avevo una cartina che mi era stata
portata via dal risucchio, tirai la cloche più che potevo, tanto
che si piegò. Ero a 1500 metri e vidi sotto di me il mare: provai
con la radio. Chiama, chiama, un bel niente: finalmente arrivò la
risposta. Ero su Pescara, mi ricordo il porto; mi diedero indicazioni
per orientarmi, ma la benzina cominciava a scarseggiare. In più
mi dissero di non atterrare a Cerveteri perché era stato distrutto
da un bombardamento. La formazione che avevamo intercettato prima era seguita
da un'altra che puntò su Cerveteri. Mi dissero di atterrare alle
Strisce, verso Ostia, vicino al torrione in cui fucilarono Salvo d'Acquisto.
Cala la benzina, non vedo arrivare Cerveteri, non vedo arrivare le Strisce:
finalmente ci sono sopra, ma questa volta è l'elica che va in croce
(non c'era più un goccio di benzina). Ricordo i fili dell'alta tensione
della linea ferroviaria e che puntai a terra per poi cercare di saltare
i fili: fu la forza della disperazione a salvarmi, perché anche
il carrello non funzionava più bene. Atterrai e mi venne incontro
il maggiore, furente, credevo che mi mangiasse. L'aereo non era più
riparabile. "Comandante, ci sono due quadrimotori ed un caccia!"
"Non contare balle" questa fu la sua risposta. "Non sono
balle: non sono caduti in mare, non sono un ufficiale e in più sono
caduti al di qua delle nostre linee" Avevamo un Fieseler-Storch, un
aereo tedesco da ricognizione, "Andiamo a controllare gli dissi"
Partimmo (non l'avevo mai guidato): ed arrivammo a Nettuno. C'era una buca
enorme: quelli della contraerea dissero che i due piloti che avevano fatto
in tempo a lanciarsi li avevano portati via i Carabinieri insieme ai Tedeschi.
"E uno!" Li andiamo a cercare e raccontano di esser stati attaccati
da un aereo isolato, velocissimo e senza numeri e distintivi. "Andiamo"
Cercavamo il Lighting: sul lago di Nemi...Finalmente atterriamo su un prato
e due ragazzini ci dicono di aver visto un motore in un punto e che il
pilota era stato portato via dal maresciallo dei Carabinieri. Andiamo da
lui: il pilota era francese e disse che aveva anche lui avuto un combattimento
con un aereo senza distintivi. C'era da andare a Sulmona, ed il maggiore
titubava: bisognava attraversare gli Appennini ed entrammo dentro un temporale
che ci fece ballare per quaranta minuti. Voleva tornare indietro, ma indietro
faceva più buio che avanti: acqua che veniva dentro, ma arriviamo
a Sulmona e ci rechiamo al comando tedesco dove stavano alcuni prigionieri,
di cui uno enorme. Era il comandante della fortezza volante, un australiano.
Anche lui disse quello che avevano detto gli altri: caccia veloce, senza
distintivi, isolato. Mi piacerebbe conoscere il pilota aggiunse, ed il
maggiore mi indicò: mi tese la mano e mi piantò una stretta
di mano che stavo per dargli un calcio. Poi mi volle fare un regalo e,
aprendo un calzare, tirò fuori una 7,65 che mi regalò.
Qualche giorno dopo mi tirarono giù sopra
Frascati, dopo che avevo tirato giù uno Spit e mi erano venuti addosso
in quattro.
D. Il 25 luglio cade Mussolini, si cominciò
a capire qualcosa di quello che sarebbe successo?
R. Guardi il nostro morale rimase sempre altissimo.
Stavamo bene: alloggiavamo all'Hotel Margherita di Ladispoli, vicino a
Cerveteri. C'erano un mucchio di artisti cinematografici di Cinecittà,
sfollati da Roma: molte attrici. Alla sera, quando dopo aver cenato andavamo
a prendere un caffè nell'unico bar sulla piazza principale, stavamo
con loro. E a chi aveva abbattuto un aereo si offriva una bottiglia di
spumante: era una baldoria, lei immagini...
Quel che successe il 25 luglio non ci scalfì:
continuammo come se niente fosse la nostra attività. Sapevamo che
a Fregene, vicino a noi, stava Ettore Muti che, se fosse venuto da noi
forse si sarebbe salvato ed invece poi lo fecero fuori.
Un giorno c'è da andare a difendere Napoli,
lo avevamo fatto diverse volte e arrivammo che il bombardamento era già
avvenuto: ci lanciammo all'inseguimento della formazione alleata e ci piombarono
addosso gli Spit. Mi arrivò dentro una cannonata secca, mi trovavo
quasi sopra il Volturno e per fortuna che ero in quota sugli 8500; mi venivano
dietro, ma il motore funzionava ancora e alla radio mi dicevano di stare
calmo. Mi avevano colpito al radiatore e, mantenendo la velocità
bassa riuscì a non fondere. Speravo di farcela ad arrivare se non
a Cerveteri, che era stato riparato, almeno a Ciampino: ma non ce la facevo
anche perché avevo paura di piantarmi sui Colli Albani. Alla radio
continuavano a dirmi di stare calmo e, finalmente vidi alla mia sinistra
un aeroporto che poi era quello di Pratica di mare, dove stavano i Tedeschi.
Cominciai a perdere quota e misi fuori il carrello: il motore grippò
in pieno e dovetti ritirare il carrello per passare la rete di recinzione.
Passata questa, il carrello, che era collegato al motore non voleva sapere
di scendere di nuovo, almeno interamente e dovetti azionare la pompa a
mano di soccorso. Atterrai con un'ala, presi una botta tremenda e ...non
mi ricordo più nulla se non il fatto che i Tedeschi furono molto
veloci nel soccorrermi ed evitarono che l'aereo si capovolgesse. Mi portarono
con un'ambulanza al Celio, che era pieno zeppo e mi rifiutò; mi
portarono allora all'ospedale del Littorio, dove c'era ricoverato anche
il tenente Cavatore che scontratosi di muso con un Lighting aveva rimediato
una cannonata che l'aveva colpito alla mano sinistra e gli aveva strappato
parte dei comandi, guidava un Messerschmitt e ci mise tre tentativi per
atterrare, manovrando la cloche con le gambe e chiudendo il motore con
la mano sana ed io gli avevo salvato la vita tirando giù il Lighting.
Cavatore mi vide portare dentro in barella da due tedeschi che non fecero
troppi complimenti e visto che c'era un posto mi mollarono lì. Non
davo segni di vita e nessuno sapeva se ero italiano, tedesco, o anche inglese:
la mia tuta era zuppa d'olio e non avevo alcuna piastrina di riconoscimento.
Fu Cavatore a riconoscermi: "Quello è Gorrini, disse, mi ha
salvato la vita dieci giorni fa..." E siccome dopo gli abbattimenti
su Sulmona ero diventato famoso, mi aveva citato il bollettino di guerra
ed ero finito sulla copertina della Domenica del Corriere disegnata da
Beltrame, altri mi riconobbero. Mi hanno ingessato e ho avuto l'assistenza
di Susanna Agnelli che era infermiera al Littorio: ci fu del tenero fra
noi due e...dovevamo sposarci, ma io le dissi "Tu sei la Fiat, io
sono un sergentino..." Siamo rimasti buoni amici, e a volte
ci sentiamo ancora.
D. E l'8 settembre?
R. Quando è venuto l'8 di settembre, la Susanna
che intanto mi aveva fatto avere una nuova divisa, mi propose di andare
con lei a Rocca di Papa. Ma io volevo tornare a casa, lei un po' insisteva
e, alla fine dispiaciuta e rassegnata, anche commossa, mi accompagnò
al treno. Ci salutammo e proprio nel mio scompartimento si sedettero due
ufficiali tedeschi: io portavo anche una decorazione tedesca, la croce
di ferro di 2° classe e loro non sapevano come comportarsi a fronte
di tutto quello che stava succedendo, ed io pure. Parlando e cercando di
intenderci, con qualche parola in francese, tenemmo una conversazione fino
ad Orvieto dove per fortuna scesero. Ad Orvieto salì una signorina
e riuscimmo ad arrivare a Bologna che vidi tutta bombardata e la aiutai
a portare le valigie: attraversammo Bolgna per giungere a prendere i treni
che proseguivano verso Milano. Montati sul treno, a Reggio Emilia il treno
fu bloccato e si vedevano soldati tedeschi impartire ordini: dicevano agli
uomini di scendere, a tutti i maschi. "Lei stia qui" mi disse
la signorina" Io sono bulgara" Salirono sul treno quelli con
la piastra, la Feldegendarmerie: lei mi buttò il suo soprabito addosso
e i Tedeschi ridendo passarono via. Mi sono salvato così: a Fidenza
scese anche lei, bevemmo qualcosa in un bar e mi disse che abitava in Piazza
Piemonte a Milano e mi diede l'indirizzo. Alla stazione chiesi qualcuno
che mi accompagnasse a casa e trovai uno con una macchina a carbonella;
la mia famiglia era mesi che non aveva notizie di me. Il tipo con la macchina
aveva paura dei Tedeschi, ma riuscì a convincerlo.
D. Come decise di scegliere di continuare a combattere
nella RSI?
R. Ero a casa da un paio di settimane, quando il
comandante Falconi invitò tutti i suoi piloti, il III Stormo, a
rientrare a Mirafiori, per radio. Un problema arrivare a Torino, perchè
non funzionava più niente...Falconi era rimasto al III Stormo e
dopo l'8 settembre, dopo che aveva dato l'ordine di rendere inservibili
gli aerei per non farli catturare dai Tedeschi, riuscì ad ottenere
da Kesserling una serie di garanzie e documenti bilingui. Riunì
i piloti e disse loro se volevano continuare a combattere e se sì,
di esser pronti a trasferirisi a Torino. Tutti accettarono, eccetto il
tenente Melis che con tutti i sardi del gruppo preferirono andare in Sardegna
con un 133. Me ne andai a Torino in bicicletta: partii alla mattina
e alle cinque di pomeriggio ero arrivato. Mi aspettava, ero ancora ingessato
e fatto venire un autista mi accompagnò alle Molinette. Lì
accertarono che stavo bene e mi tolsero il gesso; fu ancora lì che
mi presentò un capitano che io non conoscevo e non sapevo chi fosse:
""Questo è il comandante della prima squadriglia del primo
gruppo dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana" Era il capitano Visconti.
Falconi mi voleva mettere nella seconda squadriglia, ma quel capitano volle
a tutti i costi prendermi con sè nella prima. Così tutti
i piloti del III stormo finirono nella seconda, la Vespa, ma io finii nella
prima, l'Asso di bastoni. Gli unici due piloti del Terzo stormo che non
andarono nella seconda furono il povero Cavatore ed io.
Abbiamo ricominciato tutto: Visconti era un uomo
eccezionale...i più bei combattimenti li ho fatti con lui. Lui era
tripolino. Non era sposato...Stiamo tentando di portarlo via da Musocco,
ma Aniasi si è sempre opposto: è stato lui ad ucciderlo,
con altri due...a cui adesso starà dando la colpa. La formazione
partigiana Redi controllava la caserma dove stava Visconti, il quale aveva
accettato la resa nelle mani dei partigiani previa garanzia di lasciapassare
per tutti i suoi uomini e la mediazione dell'ingegnere Vismara. Stavamo
a Gallarate ed eravamo armati fino ai denti: avevamo ancora alcuni aerei
che avevamo diposto a raggiera pronti a sparare. I partigiani non potevano
fare nulla, avrebbero potuto venirci addosso solo con i carriarmati. Visconti,
nonostante molti altri ufficiali e comandanti di squadriglia gli avessero
detto di non fidarsi, che ci si doveva arrendere solo agli Americani, fidandosi
della parola. Gli intermediari, non appena vi fu la resa scritta se ne
andarono ed egli rimase nella caserma con i partigiani, l'attuale caserma
Montello ex Savoia-cavalleria, dove sto lottando perchè venga messa
una lapide che ricordi il sacrificio di Visconti e di Stefanini. Tutti
ci troviamo ogni anno, il 29 aprile a Musocco per onorare la sua memoria.
Comunque andò così: nella caserma Montello, Visconti più
altri ufficiali furono prima disarmati e poi dissero a Viscnoti che doveva
andare in un posto per essere interrogato e Stefanini, che era il suo aiutante,
lo seguì. Non appena furono nel cortile gli spararono alle spalle
e fece in tempo ad urlare loro :"Vigliacchi!" Stefanini cercò
di coprirlo con il corpo e morì subito, ma per lui fu necessario
il colpo di grazia...Hanno fatto fuori l'uomo più a posto che esisteva,
come uomo e come pilota. I più bei combattimenti li ho fatti con
lui: non li abbiamo mai avuti in testa...facevamo 11000 metri con il 205.
Pensi che fu uno degli ultimi a combattere, sul lago di Garda, forse il
20 aprile del 1945, si sparò frontalmente con un Mustang...
Quello della RSI è stato il più bel
periodo: avevamo un comandante che sapeva quel che voleva. Pochi aerei
e i nemici venivano su con delle formazioni...Noi avevamo due gruppi operativi:
l'intera Repubblica aveva tre gruppi da caccia, un gruppo trasporti, un
gruppo aerosiluranti il Fagioni. Guardi che gli Americani erano contenti
che noi eravamo pochi, perché seppur pochi gli abbiamo fatto dei
danni mica da ridere: il I gruppo abbiamo buttato giù 112 aeroplani
ed altrettanti il secondo gruppo. Certo abbiam perso quasi duecento piloti...ma
la nostra pelle l'abbiamo venduta cara.
Il I gruppo si è formato a Torino e poi,
addestratici sotto il controllo dei Tedeschi che all'inizio non si fidavano
di noi, ingaggiammo i primi combattimenti. Ricordo i primi abbattimenti
quando gli Americani bombardarono Villar Perosa. Poi ci spostarono a Campoformido,
vicino ad Udine. E lì fu incredibile: eravamo sempre su, sempre
su, giorno e notte, anche quattro combattimenti al giorno. Ci gettavamo
contro formazioni anche di cinquecento quadrimotori che andavano a bombardare
in Germania: prima li intercettavamo noi e parte della caccia per fermarci
era costretta a sganciare i serbatoi supplementari; succedeva quindi che
i quadrimotori superavano le Alpi ma rimanevano senza scorta ed anche in
Germania venivano assaliti dagli aerei Tedeschi. Tornati indietro, gli
saltavamo addosso ancora noi, tanto che dovettero cambiare tattica: partivano
da Foggia, bombardavano la Germania e si dirigevano direttamente in Inghilterra.
Cimicchi, medaglia d'oro dell'aeronautica del sud, mi disse:"Gigi,
io ero al sud, ma con il cuore stavo con voi e con me tanti altri! Voi
non sapete veramente quanti aeroplani avete abbattuto: io li contavo quando
partivano e li contavo al ritorno, lavoravo con un maggiore che comandava
un gruppo di Lighting. Quando si trattava di andare contro i Tedeschi passava,
ma quando sapevano che vi avrebbero incontrato, molti tiravano dietro il
sedere sulla sedia...Ci credevano belve, persone disposte a tutto: guardi
la nostra determinazione ed il nostro accanimento erano davvero tanti.
Al ritorno vedevo scendere dai bombardieri morti e feriti." Tutti
gli anni, la prima domenica di giugno vi è un raduno dell'Aeronautica
nazionale repubblicana sul lago di Garda: sono io ad organizzarlo da quasi
venti anni. Ci troviamo in diverse centinaia di persone: arrivano anche
i Tedeschi. Veniva Neumann, che ora è morto, veniva Galland, viene
Steinmann che mi ha regalato un porta sigarette, gli ho salvato la pelle
sul cielo ad Udine...aveva già il Messerchmitt incendiato ed aveva
addosso due Thunderboldt: sono riuscito a giostrare e ad incendiarne uno
e a metter in fuga l'altro. Lui riportò ferite gravissime, era tutto
bruciato...poi diventò il comandante della Luftwaffe della repubblica
federale tedesca: mi ha insignito della croce di ferro di I classe.
D. Quale fu il suo ultimo combattimento?
R. Il mio ultimo combattimento fu quando venni abbattuto,
era la V volta, a Reggio Emilia, con il 205. Ho sempre avuto nella RSI
a disposizione il 205, qualche volta il Fiat G.55. Ci diedero l'allarme
molto in ritardo e partimmo, ma non riuscimmo a fare quota a sufficienza
e ci piombarono addosso: mi hanno abbattuto a Fogliano. Ho aperto il paracadute,
ma nella caduta a terra ho battuto violentemente la schiena (mi fa ancora
male) e persi conoscenza: intorno ci avevo icontadini con il forcone che
forse mi credevano un inglese o un americano. Arrivò il maggiore
Visconti a prendermi e con la sua auto mi portò dal nostro medico,
il quale mi visitò e mi fece ricoverare all'ospedale a Reggio. Il
medico a Reggio mi fece avere una licenza: ero ridotto male, vicino ad
un esaurimento nervoso, e me ne andai a casa. Quando tornai stava tutto
per finire.
D. Come visse la fine della guerra? Dove si trovava
il 25 aprile?
R. Ero a Milano e feci in tempo a vedere Mussolini
appeso...Insieme ad altri piloti avevamo affittato una camera in via Leoncavallo...ironia
della sorte, all'angolo con Piazza Sire Raul.
D. Incontrò mai i partigiani?
R. Già quand'ero a Reggio...li incontrai
una sera in macchina, un Balilla coppa d'oro che era di Villoresi un pilota
della mille miglia. La comprai per 40000 lire, era mantenuta benissimo
e rifinita. Quando Visconti i vide pensava l'avessi rubata o requisita
a qualcuno...e poi l'adoperava anche lui per andare dalla Gianna, la sua
ragazza, per non usare quella militare. Comunque successe così:
abbatterono il povero Magnaghi mentre stava facendo la prova motore su
Reggio Emilia e c'era anche una troupe del giornale Luce. Volevano che
facesse anche qualche acrobazia...Magnaghi è andato su e non ha
attaccato la spina della radio; quando stava per atterrare gli si sono
piantati in coda 4 Lighting che gli hanno sparato addosso e lo colpirono
in una gamba. Stava male e, una notte viene da me il dottore: "Gorrini,
è finita la bombola, tu che hai la macchina vai alle Farmacie riunite
di Reggio a prenderne uno..." Prendo la macchina e vado: arrivo all'altezza
del manicomio e vedo una lampada rossa: era molto tardi, le due o le tre
di notte..."Dove vai?" una voce secca di uno. Ero in divisa"Vado
alle Farmacie riunite a prendere una bombola..." "E' per quello
che hanno tirato giù?" "Sì" Mi lasciarono
passare: e così tre giorni dopo. A Magnaghi gli tagliarono la gamba,
ma la cancrena lo aggredì e non ci fu niente da fare...
Vede i partigiani che conoscevano il gruppo Visconti,
sapevano quello che facevamo: e ci lasciavano in pace. Fu quella brigata,
quella che uccise Visconti, ad obbedire ad ordini che venivano dall'alto,
dal CLN, in particolare da Pertini e probabilmente anche da Cadorna. Visconti
faceva paura: era un uomo con un carisma eccezionale, un uomo scomodo...
Tornando a Milano, iniziarono le grane: i giorni
della "Liberazione", torniamo a casa e troviamo due brutti ceffi...due
della Questura. "Dovete seguirci" Andiamo in Questura e poi di
lì a Bresso, in una specie di campo di concentramento: ne vidi di
tutti i colori. Un pezzettino di pane doveva bastarci tutto il giorno.
Ci ha salvato la divisa, perché di notte quei poveri ragazzi della
GNR o della X MAS...si mettevano dieci partigiani da una parte, dieci dall'altra
e il facevano passare in mezzo e giù con i calci dei moschetti in
testa, molti stramazzavano morti dopo i primi colpi. Oppure aspettavano
che uno si recasse a fare i bisogni e dalla garritta, con una scusa, la
sentinella sparava...Sono riuscito a salvarmi perché ho fatto uscire
un biglietto e è venuto a prendermi una macchina con un blindato:
ci hanno portato via in tre. Ci fecero riempire un questionario e poi,
due settimane dopo, ancora due della Questura in casa, e sta volta finii
a S.Vittore. quattro mesi. Uscii che ero magro, denunciato al tribunale
militare e degradato...me ne fecero di tutte...
Finalmente vado dal giudice: si sparge voce che
era un ebreo...A casa saluto tutti...non avevo soldi per pagare l'avvocato
e andai a Milano in bicicletta, ricordo che l'appoggiai al muro del Palazzo
di Giustizia. Un usciere mi impaurì giuocando sul probabile astio
del giudice nei miei confronti, in quanto ebreo...Busso. Mi fa accomodare
e presentandomi come aviere pilota, ero stato degradato, mi corresse: "Lei
è il sergente maggiore pilota Luigi Gorrini" Apre il mio fascicolo..."A
ma lei è quello del messale..." Io avevo non solo compilato
il questionario che ci avevano dato, ma avevo allegato una specie di memoria:
volevo descrivere tutto quello che avevo fatto, ma tutto. Dubitava sulle
mie affermazioni: "Neanche il Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica
nazionale Repubblicana può aver fatto questo!" "Io confermo
tutto: è tutta la verità" Chiude il fascicolo, lo ripone
nell'armadio, mi viene vicino e mi guarda bene. "Vada, vada: ce ne
vorrebbero tanti come lei!" Uscii di corsa e travolsi l'usciere di
prima, lui con tutte le sue scartoffie: ho sceso lo scalone e in bicicletta
tornai a casa, così veloce, che se c'era Coppi o Bartali, non mi
avrebbero preso.
Sono tornato a casa e ho dovuto riprendere servizio
a Lecce, in quanto istruttore di acrobazia e poi ancora come assistente
al volo, ma era tutto diverso e forse non interessa più.
D. Può farmi qualche valutazione attuale?
R. Le dirò questo: per darmi la medaglia
d'oro ci hanno messo 13 anni, per voli fatti prima dell'8 settembre! L'hanno
fermata tre volte, sciogliendo le rispettive commissioni. Alla fine i vari
presidenti di commissione si sono chiesti se erano dei coglioni, dei generali
di corpo d'armata coglioni che decidevano qualcosa che poi veniva fermato.
Non contava che io fossi stato nella RSI, perché la medaglia si
riferiva ad azioni precedenti. Il Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica
Remondino, prese il generale Via che era quello che continuava a fermarla:
"Se Gorrini merita la medaglia d'oro, gliela diamo. Se va fucilato
per quello che ha fatto dopo l'8 settembre lo fuciliamo." Taviani
era un po' sulle sue e chiese tutta la documentazione, se la studiò
e scrisse di suo pugno la conferma. Per quanto riguarda la promozione,
doveva essere nel 1942, ma siccome ero nella RSI mi fu data nel 1972! Dovevo
venire a casa da tenente colonnello, come tutti quelli del mio corso, e
invece mi fecero venire a casa da maresciallo. Mi danno 2100000 di pensione,
una miseria di liquidazione per 40 anni di voli, la gran parte rischiando
la vita in guerra. !
Ma non mi interessano i soldi: ne faccio una questione
morale. Non ho figli e sto con mia moglie: la casa è mia e tutti
i miei ricordi vorrebbero comprarli gli Americani. Ma voglio che rimangano
in Italia.
Ma quello che ho fatto allora, con la Repubblica,
sono pronto a rifarlo anche adesso perchè ero convinto di essere
dalla parte del giusto. Noi non avevamo alcun partito, noi difendevamo
le città italiane dai bombardamenti dei liberatori, le nostre case
ed il nostro onore. La guerra sapevano tutti che era persa con El-Alamein
ed io l'ho persa due volte: l'8 settembre ed il 25 aprile. Ma ripeto, quello
che ho fatto allora...quelle tonnellate di bombe in meno che abbiamo evitato
alle nostre città, questo è un innegabile merito storico.
Io non abbasso gli occhi di fronte a nessuno: l'ho fatto e lo rifarei.
Pensavo però che dopo tutto quello che successe l'Italia andasse
in mano a gente onesta.
D. Come vede il futuro dell'Italia.
R. C'è il rischio che finiamo come la Yugoslavia
e l'Albania. Prego Iddio di sbagliarmi, ma finché si vede certa
gente. Il più pulito ha la rogna...
STORIA DEL XX SECOLO N. 33. Febbraio 1998. C.D.L. Edizioni srl
(Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
AUDIO
(completo): ALA FASCISTA documentazione sonora
Su Luigi Gorrini: ALI D'ITALIA, La storia di Luigi Gorrini, Asso
dell'Aviazione da Caccia italiana, Medaglia d'oro al Valor Militare. Società
Editrice Barbarossa. Il libro è acquistabile presso il "Comitato
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